OCCUPAZIONE E INTIFADA
tratto da S. Apuzzo, S. Baldini, B. Archetti, Lettere al di là del Muro. Dai bambini palestinesi dei campi profughi, 2008 Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri
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Dal 1967 i Territori Occupati Palestinesi sono un mercato supplementare per Israele. I palestinesi si vedono costretti a lavorare per salari bassissimi per padroni israeliani, facendo i pendolari tra i Territori occupati e Israele (…). Le risorse della Cisgiordania vengono ampiamente sfruttate da Israele e sottratte alla popolazione palestinese (l’80% dell’acqua viene ad esempio dirottata sugli insediamenti e le città israeliane). Le colonie continuano a crescere come funghi, nel 1987 sono 139 con 60.000 abitanti, ed aumentano di conseguenza le violenze quotidiane contro i civili palestinesi da parte dei coloni armati. A vent’anni dall’occupazione del 1967, un incidente stradale avvenuto a Gaza fa scoppiare la rivolta palestinese: nello scontro tra un camion guidato da un colono israeliano e un’auto su cui viaggiano alcuni pendolari del campo profughi di Jabaliya, quattro di questi muoiono. E’ la scintilla che dà fuoco alle polveri di una situazione al limite. Scoppia la prima Intifada. Nel dicembre del 1987, la gente della Cisgiordania e di Gaza decise di “scrollarsi di dosso” l’occupazione, dando vita ad una rivolta di massa non armata, la rivolta di un popolo che a mani nude affrontava uno degli eserciti più potenti del mondo. Per questo ottenne grande solidarietà internazionale e il lancio delle pietre contro i soldati ne divenne il simbolo. La rivolta prese il nome di Intifada delle pietre. Tutta la popolazione partecipò a scioperi, barricate, boicottaggi organizzati dei prodotti israeliani. La repressione arrivò durissima: centinaia di uccisioni e ferimenti, decine di migliaia di arresti, centinaia di case demolite, alberi sradicati, deportazioni, coprifuoco e chiusure dei territori. (…) I bambini che hanno scritto le lettere raccolte in questo libro avevano pochi anni quando nel settembre del 2000 scoppiò una nuova Intifada: l’Intifada Al Aqsa, dal nome della moschea più grande di Gerusalemme, dove Ariel Sharon, allora leader del partito di destra, Likud, si recò per una “camminata” scortato da centinaia di poliziotti. L’atto di grande valore simbolico risultò una provocazione gravissima per i palestinesi, in una situazione in cui permanevano molti dei fattori che avevano scatenato la precedente Intifada: le colonie in continua espansione, le risorse della Cisgiordania ancora ampiamente sfruttate da Israele a svantaggio della popolazione palestinese. In più erano anni in cui, dopo il fallimento degli accordi di Oslo, i negoziati di pace non facevano passi avanti. La risposta israeliana alla rivolta palestinese non si fece attendere. Addirittura le città e le aree amministrate dall’Autorità Nazionale Palestinese vennero rioccupate dall’esercito israeliano e così rimasero per mesi. Fu durante la seconda Intifada che divennero frequenti gli attentati suicidi da parte dei palestinesi, i quali colpirono le principali città israeliane, prendendo di mira soprattutto luoghi di aggregazione come autobus e locali notturni. Gli israeliani reagirono con una repressione militare che causò altre centinaia di morti, decine di migliaia di feriti, distruzione di case e di ettari di terre coltivate, e dando il via alla costruzione del Muro di separazione. Il 28 settembre 2006, a sei anni esatti dall’inizio della seconda Intifada, molti mezzi di comunicazione riportarono la cifra di 4.312 morti palestinesi e di 1.084 morti israeliani